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Ispezioni sul lavoro - La gestione delle ispezioni in azienda

2024-07-03 13:10

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Ispezioni sul lavoro - La gestione delle ispezioni in azienda

Poteri e limiti del personale ispettivo per l'accesso ai luoghi di lavoro, l'acquisizione delle dichiarazioni e l'esame della documentazione.

Poteri e limiti del personale ispettivo per l'accesso ai luoghi di lavoro, l'acquisizione delle dichiarazioni e l'esame della documentazione

La procedura dell'attività di controllo, dall'accesso ispettivo alle verbalizzazioni, è disciplinata non solo da atti normativi, ovvero dalla Legge 689 del 24 novembre 1981 e dal Decreto legislativo 124 del 23 aprile 2004, ma anche da documenti di prassi, tra cui i principali sono le circolari del Ministero del lavoro 41/2010 e dell'Inl 4/2019. A questi si affianca anche il codice di comportamento del personale ispettivo, adottato con DM 15 gennaio 2014.

Accesso nei luoghi di lavoro: poteri e limiti

Tra i poteri attribuiti al personale ispettivo, quello di accesso ai luoghi di lavoro è probabilmente il più caratterizzante e risulta necessario per vigilare sul rispetto delle norme in materia di lavoro e previdenza sociale. L'articolo 8, comma 2, del DPR 520/1955 riconosce agli ispettori del lavoro la facoltà di visitare in ogni parte, a qualunque ora del giorno e della notte, i laboratori, gli opifici, i cantieri, gli uffici, i locali di pubblico spettacolo, i dormitori ed i refettori annessi. Agli stessi viene, altresì, assegnato il potere di esaminare i documenti di lavoro ed ogni altra documentazione che abbia pertinenza diretta o indiretta con l'assolvimento degli obblighi contributivi o l'erogazione delle prestazioni previdenziali (art. 3 DL 463/1983), nonché di interrogare liberamente gli esercenti delle aziende, il personale e quanti siano comunque ritenuti in grado di dare informazioni utili ai fini dell'attività di vigilanza, comprese le rappresentanze sindacali e gli enti di patronato (art. 4, Legge 628/1961; art. 3, DL 463/1983). Lo stesso articolo 13 della Legge 689/1981, in tema di atti di accertamento, consente agli organi, addetti al controllo sull'osservanza delle disposizioni per la cui violazione è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro, per l'accertamento delle violazioni di rispettiva competenza, di assumere informazioni e procedere a ispezioni di cose e di luoghi diversi dalla privata dimora, a rilievi segnaletici, descrittivi e fotografici e ad ogni altra operazione tecnica. A ciò si aggiunge anche la possibilità di procedere al sequestro cautelare delle cose che possono formare oggetto di confisca amministrativa, nei modi e con i limiti consentiti alla polizia giudiziaria dal codice di procedura penale (art. 13, comma 2, Legge 689/1981).

Il potere di accesso, riconosciuto agli ispettori del lavoro, si giustifica e trova i suoi limiti nella funzione stessa della vigilanza. Si tratta di un potere circoscritto ai soli "luoghi di lavoro" (art. 3, Legge 638/1983), limitato ai luoghi "diversi dalla privata dimora" (art. 13, Legge 689/1981). In altre parole, se l'ispezione del lavoro costituisce un limite alla tutela del domicilio, giustificato da altri interessi costituzionalmente garantiti, la dimora privata rappresenta il limite ultimo oltre il quale questi interessi non giustificano più alcuna intrusione, in assenza di un mandato dell'Autorità Giudiziaria.

Tuttavia, va detto, vi sono situazioni particolari da considerare. È il caso dei “dormitori e refettori annessi purché direttamente o indirettamente connessi con l'attività d'impresa o vi sia sospetto che servano per compiere o nascondere violazioni”, rispetto ai quali, pur non essendo luoghi di lavoro in senso stretto e potendo coincidere, anche se solo temporaneamente, con la dimora dei lavoratori, la norma consente espressamente agli ispettori del lavoro di accedervi. Questo perché sono stati ritenuti luoghi nei quali è indispensabile accedere per identificare tutti i lavoratori occupati e verificare la regolarità dei rapporti di lavoro e delle condizioni igienico-sanitarie. Si pensi, ad esempio, alle ipotesi di caporalato per le quali, nell'ambito degli indici di sfruttamento, vanno verificate anche le situazioni alloggiative degradanti.

Quindi, da un lato, viene limitata la discrezionalità degli ispettori, per evitare turbative non giustificate da validi motivi in locali non propriamente di lavoro, dall'altro viene garantita l'efficacia dell'attività ispettiva. Un'altra situazione piuttosto frequente è rappresentata dall'ipotesi di uno stabilimento aziendale posizionato sul retro di un'abitazione per accedere al quale sia necessario attraversare un'area della abitazione privata del datore di lavoro. L'ingresso, in questo caso, risulta legittimo qualora sia l'unico accesso possibile o, naturalmente, nel caso in cui sia stato indicato come indirizzo della sede aziendale (sede legale o unità operativa). Così come, un'abitazione privata presso cui vengono eseguiti lavori edili è da considerarsi come un cantiere e, quindi, luogo di lavoro a tutti gli effetti, contesto in cui l'ispettore del lavoro è autorizzato a entrare per effettuare le verifiche di competenza.

Qualora necessario, è possibile, per gli organi di controllo effettuare, la ripresa di filmati o fotografie dello stato dei luoghi in occasione dell'accertamento ispettivo, che potranno essere conservati da parte dell'ufficio nei limiti in cui siano effettivamente rilevanti per la repressione delle violazioni accertate e per il tempo strettamente necessario a concludere i conseguenti procedimenti sanzionatori (secondo il principio di non eccedenza) e potranno essere trasmessi alle autorità competenti a norma di legge, anche senza il consenso dell'interessato.

Obbligo di qualificarsi

Il personale ispettivo, all'atto dell'accesso ispettivo, deve qualificarsi esibendo il tesserino di riconoscimento e, se necessario, informare il suo interlocutore dei poteri conferitigli dalla legge. In mancanza del tesserino, l'ispezione non può avere luogo. Il datore di lavoro è legittimato a non consentire l'ingresso in azienda degli ispettori del lavoro che non esibiscano il tesserino di riconoscimento, senza per questo incorrere in sanzioni; in ogni caso, la mancata esibizione del tesserino non può inficiare gli accertamenti già compiuti, qualora sia stato concesso agli ispettori di entrare in azienda. L'omessa esibizione potrà essere, comunque, segnalata all'Ispettorato con ripercussioni disciplinari nei confronti del funzionario.

Accedendo in azienda, il personale ispettivo deve presentarsi al datore di lavoro o con chi ne fa le veci, possibilmente come prima cosa, sempre che ciò sia compatibile con le finalità dell'accertamento ispettivo. A tal proposito si rammenta quanto previsto dall'Organizzazione Internazionale del Lavoro (Oil) circa la facoltà di accedere ai luoghi di lavoro "senza preavviso" e che la finalità di contrastare il lavoro sommerso richiede evidentemente un controllo "a sorpresa". Pertanto, non di rado, nella pratica ispettiva, l'interlocuzione con il datore di lavoro, o suo rappresentante, non risulta essere immediata, ma deve essere svolta il prima possibile. Peraltro, non sempre il datore di lavoro è presente sul luogo di lavoro. In tali situazioni l'ispezione avrà comunque luogo ma è comunque opportuno invitare i soggetti presenti a contattarlo per informarlo della verifica in corso.

Acquisizione delle dichiarazioni

Tra i poteri del personale ispettivo rientra quello di "assumere dai datori di lavoro, dai lavoratori, dalle rispettive rappresentanze sindacali e dagli istituti di patronato, dichiarazioni e notizie attinenti alla sussistenza dei rapporti di lavoro, alle retribuzioni, agli adempimenti contributivi e assicurativi e alla erogazione delle prestazioni" (art. 3, Legge 638/1983). Dichiarazioni che possono essere acquisite, ove necessario, non solo da parte dei lavoratori o rappresentanze sindacali ma, al fine di arricchire d'ulteriori elementi conoscitivi la vigilanza in corso, anche dal Comitato Pari Opportunità (CPO), ove costituito, dal Consigliera di parità e, nel campo della vigilanza tecnica, dalle Rappresentanze dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS). Di fatto, le dichiarazioni rappresentano uno degli strumenti probatori più importanti a disposizione degli organi di controllo per verificare il rispetto delle norme in materia di lavoro e legislazione sociale.

Prendendo spunto dalle numerose pronunce giurisprudenziali in materia e dalle disposizioni del codice di comportamento del personale ispettivo, è possibile definire le modalità con le quali le dichiarazioni devono essere raccolte dal personale ispettivo, la possibilità che gli interessati hanno di accedere ai contenuti delle stesse e l'efficacia che questo strumento riveste in giudizio.

Sotto il profilo metodologico, il personale ispettivo, in occasione del primo accesso ispettivo, identifica i lavoratori presenti e, in base alle finalità dell'accertamento, acquisisce le loro dichiarazioni. "Le dichiarazioni rese dai lavoratori devono essere acquisite di norma durante il primo accesso", il motivo di tale indicazione è quello di preservare la spontaneità del lavoratore e la genuinità delle proprie dichiarazioni, in modo da evitare che egli possa essere sottoposto ad eventuali condizionamenti da parte del datore di lavoro. Per lo stesso motivo, le dichiarazioni dei lavoratori devono essere rese individualmente, mediante domande non equivoche e comprensibili, poste dal personale ispettivo in modo da non dar luogo a dubbi interpretativi. Per evitare che i lavoratori, ma in generale tutti i testimoni, siano soggetti al "timore reverenziale", non è ammessa la presenza del datore di lavoro o del professionista che eventualmente lo assiste, i quali vengono invitati ad allontanarsi dagli stessi ispettori. Un loro eventuale rifiuto, secondo le circostanze, potrebbe costituire un impedimento ai poteri di vigilanza. Le risposte fornite dai testimoni ai funzionari ispettivi devono essere riportate nel verbale di acquisizione di dichiarazione, in modo chiaro e leggibile, e dello stesso deve darsi lettura al dichiarante affinché ne confermi il contenuto ovvero rilevi eventuali correzioni e, quindi, lo sottoscriva insieme al pubblico ufficiale. Le dichiarazioni e le notizie possono essere rese anche direttamente dai dichiaranti con un atto scritto, a forma libera, recante la sottoscrizione. Nel verbale di primo accesso deve essere dato conto di tali operazioni.

Il rifiuto di fornire le informazioni richieste o di sottoscrivere le dichiarazioni rese va riportato nel verbale, indicandone le motivazioni. Fermo restando che chi rifiuta di fornire le notizie legittimamente richieste dall'ispettore del lavoro o le fornisce "scientemente" errate, secondo le circostanze e la tipologia di informazioni occultate o non corrispondenti al vero, potrebbe incorrere nelle pene previste dall'art. 4 della Legge 628/1961 (arresto fino a 2 mesi o ammenda fino a 516,00 euro) o dall'art. 496 c.p. (false dichiarazioni a pubblico ufficiale sulla propria o altrui identità o qualità personali). I datori di lavoro e i loro rappresentanti, inoltre, qualora forniscano al personale ispettivo dati scientemente errati o incompleti, che comportino un'evasione contributiva, sono soggetti alla sanzione amministrativa da 1.290 euro a 12.910 euro, ancorché il fatto costituisca reato (art. 3, comma 3, Dl 463/1983).

In caso di rifiuto di sottoscrivere il verbale di dichiarazione ed in merito all'efficacia probatoria dei verbali ispettivi la Corte di Cassazione ha più volte affermato che nei giudizi il verbale di accertamento fa piena prova, fino a querela di falso, con riguardo ai fatti attestati dal pubblico ufficiale rogante come avvenuti in sua presenza e conosciuti, senza alcun margine di apprezzamento, o da lui compiuti, nonché alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni delle parti, mentre la fede privilegiata del documento non si estende agli apprezzamenti e alle valutazioni del verbalizzante.

Valore probatorio delle dichiarazioni

Quanto al valore probatorio riconosciuto dal giudice alle dichiarazioni raccolte nell'ambito degli accertamenti, lo stesso assume particolare rilievo nel caso di gravame avanti all'Autorità giudiziaria, volto a contestare gli esiti della verifica. Sul punto vi sono due orientamenti giurisprudenziali contrapposti che si interrogano su quali dichiarazioni hanno maggior valore tra quelle rilasciate originariamente al personale ispettivo o quelle acquisite dal giudice nel corso dell'istruttoria dibattimentale.

Secondo un primo orientamento, viene riconosciuta maggiore efficacia probatoria alle dichiarazioni rilasciate dai lavoratori in fase di accertamento ispettivo, in quanto le dichiarazioni rese nell'immediatezza dei fatti, presentano una spontaneità ed una genuinità che non possono essere trascurate, non avendo i lavoratori sentiti alcun interesse a riferire fatti non rispondenti al vero. Tale valutazione, sempre secondo parte della giurisprudenza, sarebbe ulteriormente rafforzata in presenza di dichiarazioni contenenti una serie di precisazioni e puntualizzazioni in ordine ai tempi ed alle modalità con cui l'attività lavorativa è stata in concreto svolta.

Una corrente alternativa, prevalente in giurisprudenza, sostiene, invece, che le dichiarazioni verbalizzate nel corso degli accertamenti ispettivi fanno piena prova dell'esistenza e provenienza della dichiarazione, ma non dei contenuti della stessa. Pertanto, relativamente ai fatti dichiarati, hanno nel processo lo stesso valore probatorio di quelle raccolte da qualsiasi altro soggetto. In caso di difformità tra la dichiarazione resa all'ispettore e la deposizione testimoniale, parte della giurisprudenza sostiene la prevalenza di quest'ultima, in quanto vera prova assistita dalle garanzie tipiche della presenza e verbalizzazione del giudice, del contraddittorio tra le parti e della responsabilità per falsa testimonianza. Alle argomentazioni per cui la dichiarazione stragiudiziale all'ispettore sarebbe preferibile perché immediata, spontanea e priva di condizionamenti da parte del datore di lavoro, questo orientamento ribatte che le eventuali dichiarazioni stragiudiziali non sono una prova e che il rischio di pressioni del datore di lavoro sul testimone si fronteggia con la denuncia per falsa testimonianza.

Diritto di accesso ex Lege 241/1990

Spesso, per preparare, sia in sede amministrativa che giurisdizionale, la propria linea di difesa in modo efficace, i datori di lavoro chiedono di poter acquisire copia delle dichiarazioni rilasciate dai lavoratori. Secondo le vigenti indicazioni in materia, tuttavia, nessuna copia viene rilasciata al lavoratore o al datore di lavoro fino alla conclusione degli accertamenti. L'eventuale istanza di accesso agli atti va rivolta successivamente all'ufficio, nei limiti in cui sia effettivamente e strettamente necessaria al diritto di difesa. Pertanto, l'accesso non è consentito quando il diritto di difesa sia, comunque, garantito da un'adeguata motivazione degli atti di contestazione e dalla documentazione che ogni datore di lavoro deve possedere.

Il diritto di accesso ai documenti amministrativi si concretizza nel diritto degli interessati di prendere visione degli atti del procedimento amministrativo ovvero di estrarne copia. Esso trova il proprio fondamento nei principi costituzionali di buon andamento (art. 97 Cost.) ed imparzialità dell'azione amministrativa (art. 98 Cost.), successivamente trasposti nel principio generale di trasparenza, contenuto nella norma di riferimento, la Legge 241/1990 (art. 22). Le dichiarazioni rese dai lavoratori rientrano a pieno titolo nell'ampia definizione di "documento amministrativo", fatta dalla suddetta norma. Il diritto di accesso può essere esercitato esclusivamente da chi abbia un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento per il quale è richiesto l'accesso. Può trattarsi di singole persone fisiche o giuridiche, oppure di organizzazioni che rappresentano interessi pubblici, diffusi o collettivi (ad esempio, le associazioni di categoria o le organizzazioni sindacali).

Il Ministero del Lavoro, allo scopo di evitare possibili ripercussioni o condotte discriminatorie nei confronti dei lavoratori, che rilasciano le dichiarazioni, ha emanato un apposito regolamento (D.M. 757/1994), nel quale ha, in modo molto netto, precluso l'accesso alle dichiarazioni (nonché alle richieste di intervento/denunce), rilasciate dagli stessi lavoratori nel corso del procedimento ispettivo, fino alla fine del rapporto di lavoro. Tale divieto, oltre ad essere ripreso dai regolamenti Inps e Inail nell'ambito delle rispettive attività di vigilanza e nelle circolari del Ministero del lavoro, è stato ribadito e specificato nel citato codice di comportamento degli ispettori del lavoro. Quest'ultimo, infatti, per garantire il buon andamento degli accertamenti, vieta al personale ispettivo di rilasciare copie delle dichiarazioni del lavoratore non solo al soggetto ispezionato, ma anche allo stesso lavoratore dichiarante, fino a quando non vengano conclusi gli accertamenti.

Dal punto di vista procedurale, nella richiesta di accesso, che può essere presentata tramite l'apposito modulo disponibile online sul sito istituzionale dell'Ispettorato, devono essere indicati gli estremi del documento richiesto oppure gli elementi che ne consentano l'individuazione, ed illustrata la motivazione della richiesta, specificando e, se non risulti evidente o noto, dimostrando l'interesse connesso all'oggetto della richiesta. Il procedimento deve concludersi entro trenta giorni dal ricevimento della richiesta. Decorso inutilmente detto termine, la richiesta si intende respinta. In caso di diniego dell'accesso, espresso o tacito, o nei casi di differimento dello stesso, il richiedente può presentare ricorso al Tribunale amministrativo regionale.

Nel tempo, il quadro giurisprudenziale in materia è stato caratterizzato da orientamenti contrastanti ed oscillanti. Infatti, i giudici amministrativi talvolta hanno affermato «la prevalenza del diritto di difesa sancito dall'art. 24 della Costituzione», in altre occasioni, invece, hanno riconosciuto superiorità alle «esigenze di tutela della riservatezza dei lavoratori unitamente a quella di preservazione della pubblica funzione di vigilanza».

Il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 1842/2008 ha seccamente ritenuto che nessuna ragione possa giustificare una deroga al principio di riservatezza, propria dei lavoratori che hanno reso dichiarazioni, quand'anche il rapporto di lavoro sia cessato. Questa decisione ha spostato il baricentro della questione sul fondamentale interesse della Pubblica Amministrazione ad acquisire tutte le informazioni necessarie allo svolgimento di un efficace accertamento ispettivo. Infatti, i giudici affermano che l'interesse pubblico, rappresentato dal controllo della regolare gestione dei rapporti di lavoro, sarebbe fortemente compromesso dalla reticenza dei lavoratori ai quali non si accordasse la segretazione delle proprie dichiarazioni. Per contro il diritto di difesa del datore di lavoro risulta, comunque, garantito dall'obbligo di motivare, da parte degli organi di vigilanza, i propri provvedimenti sanzionatori. Con la sentenza n. 736/2009, il Consiglio di Stato non solo ha confermato l'impianto della precedente decisione, ma ha fornito un'interpretazione ancor più rigorosa dell'art. 24, comma 7, della Legge 241/1990, secondo cui la conoscenza di atti contenenti dati sensibili e giudiziari è garantita solo nella misura in cui sia "strettamente indispensabile" ai fini della difesa in sede giurisdizionale e amministrativa. È, inoltre, possibile accedere alle dichiarazioni testimoniali, sulla cui base sono state mosse contestazioni dall'ispettore, qualora ciò sia funzionale al diritto di difesa e non vi siano pregiudizi a carico dei lavoratori che le hanno rese.

In presenza di un'istanza d'accesso, che indichi esplicitamente l'effettiva necessità della conoscenza di tali dichiarazioni, l'organo interpellato dovrà anche valutare "l'indispensabilità" in concreto dell'accesso ai fini difensivi. Appare chiaro che, qualora le contestazioni mosse alla ditta ispezionata siano fondate sulle constatazioni effettuate in sede di accesso ispettivo o sui documenti acquisiti, potrebbe essere non indispensabile la conoscenza delle dichiarazioni dei lavoratori. Viceversa, qualora gli illeciti contestati, siano fondati esclusivamente su quelle dichiarazioni, l'amministrazione potrebbe giungere ad opposte conclusioni, ferma restando la possibilità di oscurare i dati anagrafici dei dichiaranti.

Il Ministero del Lavoro è intervenuto con la circolare 43/2013 facendo proprio l'orientamento del Consiglio di Stato di cui alla sentenza n. 4035/2013, secondo il quale, "ferma restando una possibilità di valutazione caso per caso, che potrebbe talvolta consentire di ritenere prevalenti le esigenze difensive in questione (cfr. Cons St., sez VI, n. 3798/08, che ammette l'accesso al contenuto delle dichiarazioni di lavoratori agli ispettori del lavoro, ma con modalità che escludano l'identificazione degli autori delle medesime), non può però affermarsi in modo aprioristico una generalizzata recessività dell'interesse pubblico all'acquisizione di ogni possibile informazione, per finalità di controllo della regolare gestione dei rapporti di lavoro (a cui sono connessi valori a loro volta costituzionalmente garantiti), rispetto al diritto di difesa delle società o imprese sottoposte ad ispezione (…)". La sentenza, come evidenziato nel documento di prassi ministeriale richiamato, riconosce la qualifica di "controinteressati" ai lavoratori in ordine alle richieste di accesso alle dichiarazioni rilasciate in sede ispettiva. Ne consegue che, anche dal punto di vista amministrativo, devono essere riconosciuti i diritti inerenti a tale qualificazione, spettanti anche nei confronti di eventuali obbligati solidali, diversi dal datore di lavoro. In seguito, con lettera circolare n. 8051/2014, il Ministero del Lavoro ha nuovamente evidenziato la rilevanza per le attività istruttorie di competenza degli ispettorati della sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 863/2014, che ha ribadito l'orientamento assunto con la precedente pronuncia n. 4035/2013, confermando la legittimità della sottrazione alla ostensibilità delle dichiarazioni rese dai lavoratori in sede ispettiva.

Nell'eventualità che, infine, il diritto di accesso venga invocato sulle fonti di prova, raccolte nel corso dell'accertamento ispettivo, dal quale scaturiscano violazioni penalmente rilevanti (è il caso, ad esempio, della presenza di somministrazione illecita di manodopera, oppure di impiego di lavoratori extracomunitari clandestini, ecc.), l'organo di vigilanza non potrà che rigettare l'istanza, eccependo il segreto istruttorio prescritto dall'art. 329 c.p.p., secondo cui gli ufficiali di polizia giudiziaria non possono divulgare - fino al termine delle indagini preliminari - il contenuto degli atti compresi nel fascicolo del Pubblico Ministero.

Qualifica di Ufficiale di Polizia Giudiziaria

L'ispettore del lavoro, così come i funzionari ispettivi dell'Inps e dell'Inail, in relazione al servizio a cui è destinato e secondo le attribuzioni conferite dalle singole leggi e dai regolamenti, riveste la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria (Upg), esclusivamente nei limiti delle proprie attribuzioni e nell'ambito dell'orario di lavoro (compreso naturalmente l'orario di lavoro straordinario). Ciò significa che gli ispettori possono svolgere indagini e attività "disposte o delegate" dall'Autorità giudiziaria, ma possono operare anche prima che l'autorità giudiziaria stessa venga investita della notizia di reato, per ricercare le fonti di prova e raccogliere ogni elemento utile per la ricostruzione del fatto costituente reato e per l'individuazione del colpevole.

Qualora si ravvisino estremi di reato, l'ispettore del lavoro procede in qualità di Ufficiale di Polizia Giudiziaria, esercitando i suoi poteri attraverso l'emissione della prescrizione obbligatoria (art. 20 del DLgs 758/94 e art. 15 DLgs 124/2004), il sequestro preventivo nei cantieri edili (art. 321 comma 3-bis c.p.p.), la diffida per omesso versamento dei contributi e premi (art. 37 Legge 689/81 e art. 116 Legge 338/2000), le perquisizioni delegate, gli interrogatori delegati, il tutto sempre dopo aver adempiuto a svolgere gli atti tipici previsti dal cpp (acquisizione di sommarie informazioni testimoniali delle persone informate sui fatti, verbale di identificazione, elezione di domicilio e nomina difensore di fiducia dell'indagato) a garanzia della difesa e del contraddittorio.

Ne consegue che i funzionari hanno un ampio potere nell'ambito dell'attività investigativa di "competenza settoriale", ossia in materia lavoristica, previdenziale, assicurativa e ora in tutti i settori sulla sicurezza e salute dei luoghi di lavoro. I contesti nei quali il diritto del lavoro prevede illeciti di natura penale sono, principalmente: la sicurezza nei luoghi di lavoro, in materia di maternità e paternità, tutela del lavoro minorile e del lavoro notturno, appalto, distacco e somministrazione di manodopera, percezione di indebite indennità e indebiti conguagli, sistemi di controllo da remoto.

L'impedimento all'attività di vigilanza

I soggetti che gestiscono un'impresa o ne dirigono l'attività o vi collaborano non devono, dunque, impedire all'ispettore di svolgere i propri compiti di vigilanza, ma devono, invece, rendersi disponibili alle verifiche e rispondere alle richieste.

Tra le condotte che costituiscono impedimento all'attività di vigilanza è possibile citare: il blocco dell'accesso ai luoghi di lavoro; l'omessa consegna di documenti e/o informazioni; i comportamenti tesi ad eludere o ritardare l'attività ispettiva; le minacce che turbano il regolare svolgimento della verifica; il rifiuto del datore di lavoro di allontanarsi nel corso dell'acquisizione delle dichiarazioni da parte dei lavoratori.

I soggetti che pongono in essere le citate azioni incorrono in provvedimenti sanzionatori di natura amministrativa, secondo quanto previsto dall'art. 3, comma 3, DL 463/1983 (conv. Legge 638/83): "I datori di lavoro e i loro rappresentanti, che impediscano ai funzionari dell'ispettorato del lavoro e ai funzionari ispettivi degli Enti l'esercizio dei poteri di vigilanza di cui al presente articolo oppure che forniscano scientemente dati errati o incompleti, sono puniti con la sanzione amministrativa una somma da 1.290 euro a 12.910 euro, ancorché il fatto costituisca reato". Nei casi più gravi, il fatto può assumere anche rilevanza penale, integrando gli estremi di reati quali la violenza a pubblico ufficiale, finalizzata anon permettere di portare a termine l'accertamento (art. 336 c.p.), la resistenza a pubblico ufficiale (art.337 c.p.), interruzione di un ufficio o servizio pubblico in conseguenza delle minacce (art. 340 c.p.), oltraggio a pubblico ufficiale (art. 341 bis c.p.) o le false dichiarazioni a pubblico ufficiale sulla propria o altrui identità o qualità personali (art. 496 c.p.). Non solo. Sempre in relazione alle notizie non fornite o date errate o incomplete, l'articolo 4, comma 7 della Legge 628/1961 prevede che “Coloro che, legalmente richiesti dall'Ispettorato di fornire notizie a norma del presente articolo, non le forniscano o le diano scientemente errate ed incomplete, sono puniti con l'arresto fino a due mesi o con l'ammenda fino a 516 euro”.

Il potere di accesso nei luoghi di lavoro riconosciuto agli ispettori del lavoro, in assenza di un mandato di perquisizione o sequestro, trova i suoi limiti nella funzione di vigilanza amministrativa e preventiva e, pertanto, non comprende il compimento di atti di coercizione. Eventuali provvedimenti costrittivi potranno essere adottati solo su mandato dell'autorità giudiziaria o nei casi d'urgenza, tassativamente previsti dalla legge e salvo convalida da parte della magistratura, qualora durante l'attività di vigilanza amministrativa il personale ispettivo si imbatta in un'ipotesi di reato, con tutte le garanzie previste dal codice di procedura penale. Il compimento di tali atti richiede, quindi, la qualifica di polizia giudiziaria.

Come in ambito penale la polizia giudiziaria può sequestrare il "corpo del reato", vale a dire le cose sulle quali o mediante le quali è stato commesso il reato o che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo o le cose ad esso pertinenti (art. 253 c.p.p.), così gli organi di vigilanza in materia di illeciti amministrativi possono procedere al sequestro cautelare delle cose che possono formare oggetto di confisca amministrativa, vale a dire "le cose che servirono o furono destinate a commettere la violazione" o "ne sono il prodotto" o "la cui detenzione costituisce di per sé illecito amministrativo", sempre che appartengano a una delle persone cui è ingiunto il pagamento della sanzione (artt. 13 e 20, Legge 689/81). Contro il provvedimento di sequestro è ammesso ricorso all'ufficio competente a disporre la confisca delle cose sequestrate, che decide nel termine di dieci giorni, decorsi i quali il ricorso si intende accolto ed il bene deve essere restituito. La confisca è disposta dall'autorità competente con la medesima ordinanza-ingiunzione con cui decide sull'irrogazione delle sanzioni amministrative, da adottare entro tre mesi dal giorno in cui è pervenuto il rapporto e, comunque, entro sei mesi dal sequestro. In merito alle modalità di esecuzione, di trasporto, consegna, custodia delle cose sequestrate, si richiamano le norme contenute nel capo II del DPR 571/82, emanato in attuazione dell'ultimo comma dell'art. 17 della Legge 689/81.

Cit. “Il Sole 24 Ore”



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