Dopo il Dl 48/2023, le intese collettive applicate non dovrebbero richiamare le vecchie norme. Necessari ora accordi in azienda con le sigle più rappresentative
In seguito alle modifiche introdotte dal decreto Lavoro (Dl 48/2023, convertito dalla legge 85/2023), i datori che prorogano o rinnovano contratti a termine dopo i primi 12 mesi, o che stipulano un contratto a termine di durata superiore a 12 mesi, devono indicare le causali, come disciplinate dalle nuove disposizioni. Per i contratti a termine di durata inferiore a 12 mesi, invece, anche in caso di proroghe o rinnovi, resta confermato il regime della acausalità.
Le nuove causali
Il contratto a tempo determinato, nel limite di 24 mesi di durata massima, potrà avere una durata superiore a 12 mesi nei seguenti casi:
per sostituire altri lavoratori;
nei casi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali;
solo in assenza delle causali nei contratti collettivi, e comunque entro il 30 aprile 2024, per soddisfare esigenze tecniche, organizzative e produttive individuate dalle parti (cioè datore e lavoratore).
Ma come devono essere individuate le causali?
I requisiti necessari
Occorre richiamare quanto più volte chiarito dalla giurisprudenza di merito e della Cassazione con riferimento alla causale e alle sue caratteristiche di validità e legittimità.
La Corte di cassazione ha chiarito come la legge, «nel consentire l’apposizione di un termine al contratto di lavoro a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che devono risultare specificate, a pena di inefficacia, in apposito atto scritto, impone al datore di lavoro l’onere di indicare in modo circostanziato e puntuale, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonché l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto, le circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato, sì da rendere evidente la specifica connessione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare, nonché l’utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa» (Cassazione civile, sez. lavoro, sentenza 840/2019).
Si deve, quindi, ritenere che le causali, sia quelle individuate dai contratti collettivi, sia individuali, debbano essere specifiche, temporanee o, quantomeno, non strutturali, ovvero non ordinarie. Esigenze che, per effetto della riforma, non dovranno essere più imprevedibili o non programmabili, come era invece previsto dal Dl 87/2018 (il cosiddetto decreto Dignità).
Le intese collettive
La mancanza di una norma di diritto intertemporale e la lettera della disposizione, portano a ritenere che la nuova norma sia applicabile anche alle intese collettive già stipulate, e non solo ai contratti collettivi futuri. Quanto alle intese collettive oggi in vigore, alcune di esse sono valide laddove individuino le causali senza richiamare, anche genericamente, i provvedimenti di legge. Diversamente, suscitano qualche dubbio di legittimità le clausole contrattuali che rinviano al semplice testo di legge, ormai superato dal Dl 48/2023.
Ci si chiede se le nuove disposizioni lascino spazio ai datori di lavoro che applicano contratti collettivi sottoscritti con organizzazioni non rappresentative, di poter stipulare, attraverso l’articolo 19, lettera b) del Dlgs 81/2015, contratti a termine oltre i 12 mesi, almeno fino al 30 aprile 2024. In attesa di chiarimenti giurisprudenziali, si deve ritenere che la legge, richiamando espressamente l’articolo 51 del Dlgs 81/2015, nella lettera a) dell’articolo 19 incentivi i datori di lavoro ad adottare in azienda contratti collettivi stipulati con sindacati rappresentativi, escludendo, quindi, dalla possibilità di fruire della deroga i datori di lavoro che abbiano stipulato intese collettive con soggetti non rappresentativi. In definitiva, l’inciso «contratti collettivi applicati in azienda» contenuto nella lettera b) dell’articolo 19, secondo un’interpretazione letterale e sistematica, non può che richiamare i contratti collettivi di cui all’articolo 51 del Dlgs 81/2015.
Le causali introdotte
L’ultimo intervento
Il decreto Lavoro ha riscritto la disciplina delle causali dei contratti a tempo determinato. È possibile apporre un termine che superi i primi 12 mesi di durata (entro 24 mesi al massimo), per sostituire altri lavoratori, per casi stabiliti dai contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali, o - in assenza di causali collettive - per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate da datore e lavoratore (in quest’ultimo caso, fino al 30 aprile 2024).
I contratti collettivi
Gli accordi collettivi ai quali fa riferimento il nuovo articolo 19 del Dlgs 81/2015 sono quelli previsti dall’articolo 51 dello stesso decreto, ovvero «i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria».
Cit. “Il Sole 24 Ore”