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Appalti, buste paga tarate sui contratti più applicati

2024-03-12 12:05

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Appalti, buste paga tarate sui contratti più applicati

Ai lavoratori dovrà essere garantito un trattamento economico mai inferiore a quello applicato in base alla zona e al settore di riferimento.

Ai lavoratori dovrà essere garantito un trattamento economico mai inferiore a quello applicato in base alla zona e al settore di riferimento.

Per rafforzare le azioni di contrasto ai fenomeni di dumping contrattuale il decreto Pnrr (Dl 19/2024) introduce una regola che avrà un impatto molto forte nella gestione degli appalti: viene introdotto, nell’articolo 29 del Dlgs 276/2003, l’obbligo per gli appaltatori e i subappaltatori di riconoscere al personale un trattamento economico che non sia inferiore a quello previsto dai contratti maggiormente applicati nella zona e nel settore connesso alle attività appaltate.

Un principio che ha una finalità molto chiara: evitare che l’appalto diventi lo strumento per ridurre in modo improprio il costo del lavoro, mediante la ricerca di accordi collettivi che non sono coerenti con le attività appaltate e, soprattutto, che prevedono retribuzioni inadeguate; situazione che spesso si abbina all’utilizzo di contratti firmati da organizzazioni sindacali e datoriali poco rappresentative.

Un principio che dovrà essere tradotto in pratica risolvendo alcune questioni applicative.

La prima questione riguarda i lavoratori interessati dalla norma. La legge precisa che il principio troverà applicazione «al personale impiegato nell’appalto di opere o servizi e nell’eventuale subappalto»: questa formula sembra includere nella norma tutto il personale che svolge attività lavorativa nell’ambito di un appalto, a prescindere dalla forma contrattuale; pertanto, a regola vale anche per i lavoratori impegnati nell’appalto non come dipendenti diretti ma sulla base di accordi contrattuali con soggetti esterni (ad esempio, in esecuzione di un regolare accordo di somministrazione o di subappalto).

A questi lavoratori deve essere corrisposto – precisa la legge - un trattamento economico «complessivo» non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale e territoriale maggiormente applicato nel settore e per la zona.

Non viene, quindi, previsto l’obbligo di applicazione integrale di tutto il contratto collettivo, ma il vincolo – più preciso e specifico – di applicare un trattamento economico che, nel complesso delle voci erogate, non sia inferiore a una certa soglia.

Una differenza non banale, in quanto le aziende restano libere di applicare il contratto collettivo che preferiscono, dovendo tuttavia adeguare i trattamenti economici a quelli previsti dagli accordi di riferimento, qualora siano inferiori.

Ma come si dovranno individuare questi accordi? La legge non usa il tradizionale rinvio agli accordi siglati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, ma adotta un meccanismo diverso: la retribuzione di riferimento deve essere cercata negli accordi «maggiormente applicati» nel settore e nella zona più vicini all’attività svolta nell’appalto.

Bisognerà, quindi, caso per caso, individuare qual è l’oggetto principale dell’appalto, per poi - con un metodo empirico (ad esempio, tramite l’analisi banche dati Cnel, o l’utilizzo – quando saranno completi – dei dati sulla rappresentatività delle sigle sindacali) – andare a ricercare qual è il contratto maggiormente applicato nel settore affine (la legge dice «strettamente connesso») a quella attività e nella zona in cui viene svolto il lavoro.

Un criterio per sua natura mobile, sicuramente soggetto a possibili interpretazioni divergenti nei casi in cui l’individuazione di alcuni di questi elementi dovesse risultare problematica.

Pur con queste possibili incertezze applicative, la norma potrebbe avere un potente effetto di riduzione della concorrenza sleale, impedendo alle imprese che concorrono nell’aggiudicazione di un appalto privato di utilizzare il costo del lavoro come una leva di competitività.

Cit. “Il Sole 24 Ore”



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