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La tenuità del danno non esclude la giusta causa di licenziamento

2024-02-07 18:22

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La tenuità del danno non esclude la giusta causa di licenziamento

Secondo la Cassazione va valutata anche l’idoneneità della condotta a incidere sull’elemento della fiducia, essenziale nel rapporto di lavoro.

Secondo la Cassazione va valutata anche l’idoneneità della condotta a incidere sull’elemento della fiducia, essenziale nel rapporto di lavoro.

La modesta entità del fatto addebitato non va riferita alla tenuità del danno patrimoniale subito dal datore di lavoro, dovendosi valutare la condotta del prestatore di lavoro sotto il profilo del valore sintomatico che può assumere rispetto ai suoi futuri comportamenti, nonché all’idoneità a porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento e a incidere sull’elemento essenziale della fiducia, sotteso al rapporto di lavoro.

Cosiì la Corte di cassazione con ordinanza 1476 del 15 gennaio 2024.

Il caso trae origine dal licenziamento di un dipendente, con mansioni di cuoco, per avere portato via dal luogo di lavoro generi alimentari di proprietà della datrice di lavoro, di cui si era appropriato illegittimamente e in modo reiterato per due mesi.

Da notare, inoltre, che la società aveva rifiutato la richiesta di rinvio dell’audizione orale presentata dal dipendente durante il procedimento disciplinare, in presenza di certificazione medica riguardante la patologia di ansia reattiva da stress.

Con riferimento a tale ultimo aspetto, la Corte d’appello di Napoli, confermando la pronuncia del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, aveva escluso la lesione del diritto di difesa del lavoratore, in quanto la certificazione medica prodotta non era idonea a giustificare un legittimo impedimento a presentarsi e il rinvio rivelava profili di pretestuosità e finalità meramente dilatorie.

Nel merito, le condotte contestate erano state accertate e ritenute tali da configurare la giusta causa di licenziamento ex articolo 2119 del Codice civile.

Il dipendente ricorreva in cassazione, lamentando la violazione del suo diritto a difesa e l’assenza di illiceità del comportamento appropriativo, trattandosi di cibi cucinati e deteriorabili.

La Suprema Corte ha confermato le pronunce dei giudici di merito, rilevando in primo luogo come, nell’ambito del procedimento disciplinare, «la mera allegazione, da parte del lavoratore, ancorché certificata, della condizione di malattia non può essere ragione di per sé sola sufficiente a giustificarne l’impossibilità di presenziare all’audizione personale richiesta», essendo necessario dedurre la natura ostativa dell’allontanamento fisico dal luogo in cui si trova il dipendente, in modo da dimostrare che il differimento a una nuova data di audizione costituisce un’effettiva esigenza difensiva non altrimenti tutelabile.

In merito all’asserita violazione del parametro normativo di cui all’articolo 2119 del Codice civile, gli Ermellini confermano l’assunto della Corte territoriale che ha ritenuto inadempimento importante, costituente giusta causa di recesso, la condotta contestata al dipendente, che seppur riguardante cibi cotti e deperibili, non destinati a esigenze personali del lavoratore o ad altri scopi umanitari, «manifesta un significativo disvalore sociale e si pone in chiaro ed evidente contrasto con gli standards conformi ai valori dell’ordinamento esistenti nella realtà sociale che non consentono la sottrazione di beni aziendali attraverso comportamenti reiterati e con una sistematica predisposizione di una organizzazione per il loro trasporto».

Per la Cassazione è irrilevante anche l’apparente tolleranza da parte del datore di lavoro, ma senza alcuna autorizzazione esplicita o implicita, perché ciò che viene messo in discussione è il dovere del lavoratore di non porre in essere comportamenti che possano ledere il vincolo di fiducia tra le parti.

Cit. “Il Sole 24 Ore”



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