Secondo la Cassazione non costituisce un legittimo impedimento il fatto che il lavoratore abbia conseguito la pensione di anzianità.
In caso di cessione illegittima di un ramo d’azienda il conseguimento della pensione di anzianità non impedisce la reintegrazione nel posto di lavoro di un dipendente “ceduto” di cui si stato disposto il ripristino del rapporto di lavoro originario.
Lo ha sottolineato la Corte di cassazione nell’ordinanza 32522/2023, depositata ieri, in cui è stata chiamata a dirimere una controversia sorta dopo che una grande impresa che aveva ceduto illecitamente un suo ramo aziendale non aveva ottemperato al decreto ingiuntivo del tribunale che, oltre al pagamento di una somma di denaro al lavoratore, le aveva imposto la riassunzione dello stesso.
Una decisione ribaltata in secondo grado dalla Corte d’appello di Roma, secondo cui, alla luce del fatto che il lavoratore era andato nel frattempo in pensione di anzianità e che il percepimento della stessa ha quale presupposto la cessazione del rapporto di lavoro, nulla era dovuto a quest’ultimo a titolo di prestazione lavorativa non ripristinata per volontà datoriale.
I giudici di legittimità, a cui a quel punto aveva fatto ricorso il pensionato, hanno invece ribadito che la disciplina legale dell’incompatibilità (totale o parziale) tra trattamento pensionistico e percezione di un reddito da lavoro dipendente si colloca sul piano diverso del rapporto previdenziale, determinando la sospensione dell’erogazione della prestazione pensionistica, ma non comporta l’invalidità del rapporto di lavoro.
Parimenti, non può essere diminuito degli importi conseguiti a titolo di pensione neppure il risarcimento del danno spettante al ricorrente in base all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, in quanto può considerarsi compensativo del danno arrecatogli da licenziamento non qualsiasi reddito percepito, «bensì solo quello conseguito attraverso l’impiego della medesima capacità lavorativa». Né possono produrre un effetto estintivo le retribuzioni in seguito corrisposte dal destinatario della cessione illegittima, il quale abbia utilizzato le prestazioni del lavoratore: il rapporto con il cessionario è instaurato, infatti, in mera via di fatto, tanto che le vicende risolutive dello stesso non sono idonee a incidere sul rapporto giuridico ancora in essere con il cedente, «sebbene quiescente per l’illegittima cessione fino alla declaratoria giudiziale».
Cit. “Il Sole 24 Ore”