La risoluzione consensuale del rapporto di lavoro a seguito della decisione dell’azienda dà diritto di accedere all’indennità.
La risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, sottoscritta perché l’azienda ha spostato la sede di lavoro a oltre 50 chilometri dalla residenza del dipendente, dà diritto a quest’ultimo di accedere all’Ape sociale. Così ha deciso il Tribunale di Milano, con la sentenza 988/2024.
Un’azienda ha disposto il trasferimento dei lavoratori da un sito produttivo in prossimità di Milano a uno collocato in provincia di Lucca. Una dipendente non ha accettato tale decisione e ha risolto consensualmente il rapporto di lavoro, specificando nelle premesse del verbale di conciliazione che la decisione era motivata dalla distanza (295 km) della nuova sede dalla sua residenza.
Il verbale di conciliazione è stato considerato dall’Inps valido per l’accesso della lavoratrice alla Naspi riconoscendo il requisito della perdita involontaria del rapporto di lavoro, secondo quanto specificato dalla sua prassi. Lo stesso requisito è stato negato dal medesimo istituto al fine di riconoscere il diritto della ricorrente alla prestazione Ape sociale.
A fronte di tale valutazione dell’Inps, il giudice ha ricostruito la disciplina normativa dell’Ape, a cui possono accedere, tra gli altri, le persone in stato di disoccupazione a seguito di licenziamento, anche collettivo, dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale del rapporto di lavoro nell’ambito della procedura prevista dall’articolo 7 della legge 604/1966. Inps, sulla base del tenore letterale della norma del 2016 che ha introdotto l’Ape sociale, ha ritenuto che la risoluzione consensuale sia differente da quella della legge 604, non consentendo la fruizione dell’anticipo. Ma la previsione normativa dell’Ape, si legge nella sentenza, ricalca quella di uno dei requisiti di accesso alla Naspi e per quest’ultima è Inps stesso a ritenere che il rifiuto al trasferimento della sede di lavoro oltre i 50 km dalla residenza rientri tra le ipotesi di perdita involontaria del lavoro. In tal senso giudice cita la circolare 108/2006 e il messaggio 369/2018 dell’istituto.
Quindi, se la risoluzione per rifiuto di un trasferimento di sede è ritenuta dall’Inps valida per l’accesso alla Naspi (che in effetti è stata erogata alla lavoratrice), «a parere del giudicante non vi è alcun motivo per contraddire tale interpretazione, valutando il medesimo requisito della disoccupazione involontaria, con riferimento alla concessione della prestazione Ape sociale».
Nella sua argomentazione il giudice aggiunge un riferimento alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea: la sentenza C-422/14 ha chiarito che «la direttiva 98/59 deve essere interpretata nel senso che il fatto che un datore di lavoro proceda, unilateralmente e a svantaggio del lavoratore, ad una modifica sostanziale degli elementi essenziali del contratto di lavoro per ragioni non inerenti alla persona del lavoratore stesso rientra nella nozione di “licenziamento” di cui all’articolo 1, paragrafo 1, primo comma, lettera a) della medesima direttiva». E, secondo il giudice, la perdita dell’occupazione a causa del trasferimento della sede di lavoro rientra nell’ipotesi delineata dalla Corte Ue.
Infine, va ricordato come, in un caso analogo, l’istituto aveva già operato una lettura per analogia con il messaggio 4192/2023, ammettendo all’Ape sociale i sottoscrittori della risoluzione consensuale prevista dal decreto legge 104/2020, non menzionata alla lettera nella norma originaria dell’Ape.
Cit. “Il Sole 24 Ore”