Per la Corte costituzionale è illegittima la presunzione assoluta di rifiuto prevista dal 2020.
Non basta una condanna per un reato lieve a motivare il rifiuto della domanda di emersione del lavoratore straniero irregolare. Lo afferma la Corte costituzionale con la sentenza n. 43 depositata ieri con la quale è stata dichiarata l’illegittimità dell’articolo 103, comma 10, lettera c), del decreto legge n. 34 del 2020, nella parte in cui comprende fra i reati che comportano l’automatica esclusione dalla procedura di emersione del lavoro irregolare la precedente condanna per il cosiddetto piccolo spaccio.
La Consulta si sofferma sul reato di piccolo spaccio osservando che sia per come viene concepito dal legislatore nel sistema, sia per come si collega all’indice di pericolosità connesso all’arresto in flagranza, si caratterizza per una limitata offensività che contrasta in maniera sensibile con la presunzione assoluta di pericolosità. Tanto più se la conseguenza è l’automatica esclusione da procedure che consentono la regolarizzazione del rapporto di lavoro o la stipula del contratto di lavoro.
La Corte ricorda di avere già in passato chiarito che le presunzioni assolute «violano il principio di eguaglianza se sono arbitrarie e irrazionali ovvero “se non rispondono a dati di esperienza generalizzati, riassunti nella formula dell’id quod plerumque accidit”» (sentenza n. 253 del 2019). La norma oggetto di contestazione, ricostruisce la Corte, associa alla condanna per un reato di lieve entità una presunzione assoluta di pericolosità che impedisce la possibilità stessa di verificare in concreto se lo straniero continua a rappresentare una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza, al momento in cui viene presentata la domanda di accesso alla procedura di emersione.
Una disposizione che «contraddice l’id quod plerumque accidit, poiché, con riguardo a un reato di ridotta offensività, ben può desumersi la non pericolosità attuale di chi in passato ha subito per tale reato una condanna da una combinazione di indici che tengano conto: del tempo trascorso dal momento della condanna, dell’avvenuta espiazione della pena, del percorso rieducativo eventualmente seguito, del comportamento tenuto successivamente alla condanna e di ulteriori eventuali fattori ritenuti idonei».
L’esclusione assoluta di chi è stato condannato per il piccolo spaccio dalle procedure di emersione e di conclusione di contratti di lavoro, constatata la ridotta gravità del reato che non può di per sé escludere la dimostrazione della cessata pericolosità, esorbita dallo scopo di negare l’accesso a chi si dimostri una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza. Per questo obiettivo, infatti, basta consentire un accertamento in concreto della pericolosità.
Cit. “Il Sole 24 Ore”