La Cassazione conferma la liceità delle verifiche da parte del datore di lavoro.
I permessi previsti dalla legge 104/1992 per assistenza o cura di soggetti protetti danno luogo a sospensioni autorizzate del rapporto di lavoro che, però, se godute in maniera abusiva, possono legittimare un licenziamento per giusta causa.
Secondo un orientamento costante della Corte di cassazione, anche di recente ribadito (sezione lavoro, 6468/2024), la fruizione del permesso regolato dalla legge 104 deve essere direttamente connessa all’esigenza di soddisfare l’assistenza del disabile, coerentemente con la ratio di cura del beneficio. Garantire il godimento di tale diritto rappresenta, del resto, un indubbio sacrificio per il datore di lavoro dal punto di vista organizzativo, che può essere legittimato solo ove, dall’altro lato, vi siano esigenze che il legislatore e la coscienza sociale riconoscano come meritevoli di tutela superiore.
Pertanto, se non vi è nesso di causalità tra la fruizione del permesso 104 e l’assistenza del disabile, ci troviamo di fronte a un uso improprio o, addirittura, a un abuso del diritto.
Guardando le cose dal punto di vista della validità del licenziamento eventualmente comminato a fronte di tale abuso, non si può non rilevare che quest’ultimo rappresenti una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede nei confronti del datore di lavoro (ma anche dell’ente assicurativo), idonea a legittimare il recesso.
Nella recente occasione di confronto sulla tematica, la Corte di cassazione ha inoltre ribadito che l’accertamento dell’utilizzo improprio da parte di un dipendente dei permessi può essere effettuato anche tramite agenzie investigative. Queste ultime, infatti, non possono intervenire solo se l’oggetto delle loro investigazioni sia l’adempimento della prestazione lavorativa, mentre alle stesse può legittimamente farsi ricorso per verificare comportamenti che possono risultare penalmente rilevanti o integrare attività fraudolente.
Nel caso specifico, la condotta contestata era quella di una lavoratrice bancaria che, per la maggior parte delle ore di permesso concesse in suo favore per l’assistenza ai genitori disabili, si era dedicata ad altre attività, come emerso dalle indagini commissionate dall’istituto di credito.
L’esito, confermato fino all’ultimo grado di giudizio, era stato il licenziamento, motivato da un sostanziale disinteresse per le esigenze aziendali e dalla grave violazione dei principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del rapporto di lavoro.
Cit. “Il Sole 24 Ore”