Anche il lavoratore che impugna il licenziamento può collaborare nell’accertamento di un possibile repêchage.
In tema di licenziamento adottato per giustificato motivo oggettivo, deve escludersi il nesso causale fra la chiusura del punto vendita, con conseguente soppressione della posizione lavorativa ed il recesso se l’attività non era l’oggetto esclusivo dell’impresa, in presenza di altri punti vendita, in quanto il venir meno del punto vendita non determina un’automatica inutilità, per la datrice, della prestazione lavorativa resa dalla lavoratrice tale da giustificare la soppressione della relativa posizione. Ad esprimersi così la Corte di Cassazione con la sentenza n.31409 pubblicata il 14 novembre 2023.
Si tratta di una evidente applicazione dell’onere di repêchage che grava sul datore di lavoro. La decisione della società era connessa alla cessazione di un punto vendita ed alla necessità di sopprimere le posizioni lavorative divenute superflue. Tuttavia la sola chiusura in sé non è una causa sufficiente a giustificare il licenziamento perché esistevano altri punti vendita nei quali poteva essere impiegata la lavoratrice licenziata. Manca quindi il nesso causale tra il motivo addotto ed il recesso poiché la chiusura del punto vendita non ha determinato un’automatica inutilità per la società della prestazione lavorativa resa dalla lavoratrice, tale da giustificare la soppressione della posizione. Oltretutto nel caso di specie altri colleghi di lavoro della licenziata con mansioni equivalenti erano stati utilmente ricollocati dalla società presso altre sedi oppure distaccati presso altri punti vendita del gruppo.
Conseguentemente è stato ritenuto manifestamente insussistente il fatto posto a base del licenziamento e da ciò è conseguita la reintegrazione e l’indennità risarcitoria nel limite massimo di 12 mensilità.
La sentenza conferma l’orientamento consolidato in tema di recesso per soppressione della posizione lavorativa.
Gli oneri a carico del datore
Il datore di lavoro ha l’onere di provare (anche mediante elementi presuntivi ed indiziari) l’impossibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse da quelle precedentemente svolte.
Tale prova non deve essere intesa in modo rigido: lo stesso lavoratore che impugni il licenziamento può collaborare nell’accertamento di un possibile repêchage, mediante l’allegazione dell’esistenza di altri posti di lavoro nei quali potrebbe essere utilmente ricollocato, anche con mansioni appartenenti «al livello di inquadramento inferiore purché rientranti nella medesima categoria legale, secondo l’attuale formulazione dell’art. 2103 c.c.
Dall’obbligo di repêchage discende una concezione del licenziamento come extrema ratio.
I principi indicati trovano costante conferma nella giurisprudenza. Si vedano ad esempio: Cass. 12 gennaio 2023, n. 749: In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo incombono sul datore di lavoro gli oneri di allegazione e di prova dell’esistenza del giustificato motivo oggettivo, che include anche l’impossibilità del c.d. repêchage, ossia dell’inesistenza di altri posti di lavoro in cui utilmente ricollocare il lavoratore.
Oppure Cass 8 maggio 2023, n. 12132: Il giudice del merito deve considerare adempiuto l’obbligo di repêchage solo se il datore ha tenuto in considerazione anche l’assenza di posizioni lavorative di prossima liberazione nel contesto aziendale e di possibile assegnazione per il lavoratore “licenziando”.
Cit. “Il Sole 24 Ore”