Welfare carente e costi dell’assistenza in crescita dietro il 5% di rinunce.
Le carenze del welfare, accanto alla crescita dei costi per l’assistenza portano sempre più donne a rinunciare al lavoro per occuparsi dell’assistenza alla famiglia. Tra il 2018 e il 2023, a fronte di un incremento generalizzato dell’occupazione femminile, la quota di donne che hanno scelto di non lavorare per motivi di carattere familiare è passata da 2,525 milioni a 2,659 milioni (+5,3%). L’aumento più significativo ha riguardato le 55-64enni: sono +219mila ad aver rinunciato al lavoro (il 34,7% in più rispetto al 2018), nella fascia d’età in cui possono concentrarsi diversi carichi di cura verso i genitori anziani, i nipoti, il coniuge.
Secondo il rapporto 2024 “Family (Net) Work – Laboratorio su casa, famiglia e lavoro domestico”, che è stato presentato ieri a Roma da Assindatcolf (Associazione nazionale dei datori di lavoro domestico) in collaborazione con la Fondazione studi Consulenti del lavoro, a pesare sulla scelta delle donne è soprattutto la difficoltà a sostenere i costi per l’assistenza di parenti non autosufficienti.
Secondo l’indagine Family (Net) Work svolta a luglio 2024 su un campione di 2.015 famiglie aderenti ad Assindatcolf e Webcolf, molti nuclei che si avvalgono dei servizi forniti da una badante affrontano ogni mese un costo superiore al 50% del reddito mensile. Il 57,7% delle famiglie dichiara che il costo della badante assorbe oltre il 50% del reddito disponibile e il 32,4% afferma che questo supera il 70%. Cifre ormai insostenibili non solo per le famiglie a basso reddito, ma anche per il ceto medio (le famiglie che fanno fatica a sostenere queste spese passano dal 27,9% del gennaio 2023 al 55,2% del luglio 2024). Mentre per i servizi di baby-sitting e colf, la spesa risulta nella maggior parte dei casi (57,2%) contenuta entro il 15% del reddito disponibile o al massimo (30,6%) tra il 15% e il 30%.
Insieme alla crescita dei costi delle famiglie, il calo delle nascite e la diffusione dello smart working secondo i curatori dell’indagine sono le probabili cause che hanno impattato sulla domanda di servizi di collaborazione, in particolare per quelli legati alla prima infanzia e alla cura della casa: da 2,6 milioni di famiglie che si sono avvalse di colf, badanti e baby-sitter nel 2011, si è scesi a 1,9 milioni del 2022, pari al 7,4% dei nuclei residenti.
È anche diminuita l’occupazione del settore, in controtendenza con il resto dell’economia: tra il 2021 e il 2023 nel lavoro domestico si contano 145mila occupati in meno, con un calo del 9,5%. Secondo le stime dell’Istat il numero dei lavoratori domestici, irregolari inclusi, sarebbe passato da 1.530.000 a 1.384.800. Questo calo «solleva dubbi sulla capacità di tenuta del sistema di welfare familiare, che ha rappresentato negli ultimi decenni un pilastro del benessere collettivo, consentendo a migliaia di famiglie di sopperire all’inefficacia crescente dell’offerta sanitaria istituzionale, dando risposta alle esigenze di cura di una popolazione sempre più anziana». C’è da chiedersi quanto di questa diminuzione dell’offerta e della domanda sia avvenuta solo sulla carta perché queste posizioni sono finite nel lavoro sommerso, ampiamente diffuso nel settore. Un indizio arriva dai numeri sensibilmente più bassi dell’Inps, relativi all’occupazione regolarmente assunta: anche l’Istituto di previdenza certifica una riduzione di lavoratori (-139.755), ma in questo caso tra 2021 e 2023 sono passati da 973.629 a 833.874 (-14,3%).
Resta irrisolto il nodo del sommerso che da anni oscilla in un range dal 55% al 60%, il più elevato tra tutti i settori economici. Se la regolarizzazione durante il Covid nel 2020 ha favorito l’emersione di molti collaboratori, portando il tasso di irregolarità al 51,8% c’è da attendersi che «la contrazione occupazionale degli ultimi due anni si accompagni a una risalita del tasso di irregolarità attorno al 54% per il 2023». Nel 2023 su 1.384.000 lavoratori domestici rilevati dall’Istat, si stimano 632mila regolari e 753mila irregolari. Il lavoro domestico rappresenta il 38,3% dell’occupazione irregolare dipendente in Italia e genera un costo per la collettività pari a quasi 2,5 miliardi di euro all’anno (1,5 miliardi di euro di mancato gettito contributivo e 904 milioni di euro annui di evasione Irpef).
In vista della manovra economica, Assindatcolf rilancia una proposta per favorire il lavoro regolare, attraverso la leva fiscale: «È ormai chiara a tutti l’esigenza di una riforma generale del sistema, a partire dalla fiscalità – ha detto il presidente di Assindatcolf, Andrea Zini –. Lo Stato deve supportare economicamente le famiglie, rendendo più accessibile e conveniente il lavoro domestico regolare. Per questo chiediamo alla Politica di mettere al centro della propria agenda, alla voce welfare familiare, deducibilità fiscale o credito d’imposta del costo del lavoro domestico».
Cit. “Il Sole 24 Ore”