Dal 2025 non deducibili per le imprese e tassate per i dipendenti. Oneri economici e gestionali per dotare i lavoratori di carte di credito aziendali.
Carte aziendali o utilizzo di carte personali per evitare la stretta che colpirà le spese di trasferta non pagate con modalità tracciabili. A poco più di un mese dal debutto della norma contenuta nel Ddl di Bilancio ora all’esame della Camera in prima lettura, le imprese si preparano a mettere in campo procedure e a sensibilizzare i propri dipendenti sulle modalità di pagamento delle spese per trasporti, in particolar modo i taxi, e le spese per pranzi e cene durante le trasferte.
Nel tentativo di instaurare un contrasto di interessi contro le prestazioni pagate in contanti, la manovra 2025 prevede una doppia mannaia fiscale: stop alla deducibilità delle spese per le imprese e rimborsi che diventano tassati per i dipendenti. L’obiettivo evidente è di pretendere il pagamento con carte, bancomat e app per spingere così tassisti e ristoratori a dichiarare e a versare di più all’Erario. Una mossa a cui la relazione tecnica attribuisce, come ha fatto notare anche l’Upb (ufficio parlamentare di bilancio), effetti finanziari «quantificati, per il periodo 2025-2030, in un maggior gettito pari a 1,4 miliardi». Da qui la considerazione che, considerati i saldi attuali della manovra, sarà difficile fare marcia indietro.
Per l’Associazione italiana per la direzione del personale (Aidp) è assolutamente condivisibile la finalità della norma, cioè aumentare la tracciabilità dei pagamenti ed evitare il sommerso. Tuttavia la formulazione attuale del disegno di legge, oltre al tema della doppia imposizione fiscale, determina alcune conseguenze sul fronte organizzativo, come evidenzia Roberto Mattio, vicepresidente vicario dell’associazione. Alcuni dipendenti possono non avere la carta di credito o averla con un plafond non adeguato per affrontare contemporaneamente le spese personali e quelle per conto dell’azienda che poi gli vengono rimborsate. «La soluzione è dotare i dipendenti che effettuano trasferte (o potenzialmente potrebbero farle) di una carta di credito, con relativi costi. È una pratica già spesso utilizzata dalle grandi aziende, ma meno diffusa tra le piccole. Vi possono essere due modalità al riguardo. La prima prevede che l’azienda concordi con un istituto di credito l’emissione di carte per uso sia personale che aziendale, il cui costo di emissione è a carico dell’impresa, ma l’addebito avviene sul conto corrente del dipendente, in genere dopo due mesi, così che nel frattempo il lavoratore abbia già ricevuto, nel mese seguente la spesa effettuata, il rimborso dall’azienda. La seconda prevede di dotare il dipendente di una carta di credito aziendale che appoggi le spese direttamente sul conto dell’azienda». Inoltre ci sono Paesi o aree all’estero in cui è materialmente impossibile pagare con la carta di credito perché ristoranti o altre strutture non ne prevedono l’utilizzo. La norma dovrebbe assicurare una certa flessibilità, tenendo conto dei contesti in cui alcune trasferte si svolgono.
Dai commercialisti, il tesoriere e consigliere delegato alla fiscalità del Cndcec, Salvatore Regalbuto propone: «Soprattutto nel caso delle piccole imprese l’ipotesi più realizzabile è che il dipendente paghi con un proprio strumento di moneta elettronica, consegnando al datore di lavoro i documenti fiscali che attestino la spesa e la ricevuta del Pos. È chiaro che in questo caso sarà il datore a dover rimborsare il dipendente in busta paga, ferma restando l’esclusione da imponibilità dei rimborsi».
Gli effetti della misura in chiave antievasione sono, comunque, tutti da valutare per gli addetti ai lavori. Massimo Ferrari, presidente dell’Associazione dei fiscalisti d’impresa (Afi), sottolinea: «Nell’esperienza quotidiana, il pagamento in contanti da parte dei dipendenti viene effettuato solitamente per importi estremamente ridotti relativi a spese quali la colazione al bar o il servizio di trasporto tramite taxi, per il quale, comunque, viene richiesto un documento giustificativo di spesa che indichi anche il tragitto percorso. Quanto effettivamente possa incidere la disposizione in commento alla lotta all’evasione resta, pertanto, un dubbio senz’altro legittimo». In ogni caso la modifica contenuta nella legge di bilancio genera «un fenomeno di doppia imposizione». E il rischio è quello di introdurre «complicazioni gestionali senza concorrere in modo rilevante al contrasto alla lotta all’evasione». Per questo i fiscalisti d’impresa chiedono un dietrofront sull’intervento e «laddove il legislatore volesse comunque mantenere tale disposizione, sicuramente andrebbe eliminata la previsione relativa all’indeducibilità dei costi in capo al datore di lavoro al fine di evitare discussioni in merito alla legittimità di una norma in grado di ingenerare una doppia imposizione in capo alla medesima fattispecie».
Cit."Il Sole 24 Ore"